Le origini del paese sono antichissime, come testimoniato da alcuni ritrovamenti, che ne testimoniano la presenza dei Celti.

In epoca romana fu stazione militare, ampiamente nota per la fabbricazione di pietre coti, che venivano cavate a Pradalunga, allora parte del territorio nembrese.

Probabilmente proprio in dipendenza da questo fatto e dal numero dei residenti, divenne, negli anni a seguire, una delle più antiche "plebes" della bergamasca, dotata di un proprio "archypresbiter" e, in seguito, anche di un proprio "capitolo".

Peraltro gli storici tendono ad accreditare la tesi che proprio dall'escavazione e lavorazione delle citate pietre coti, attività che nei secoli a seguire continuerà a connotare il paese, derivasse già, fin da allora, l'importanza di Nembro.

Essendo, per lo più, le miniere italiane dell'epoca parte del patrimonio privato dell'imperatore, si può supporre che il lavoro di estrazione fosse, in quei tempi, demandato agli schiavi, sotto la sorveglianza dell'esercito.

L'importanza poi delle coti italiane, arrotabili con l'acqua, anziché con l'olio, è sottolineata dallo stesso Plinio nella sua "Historia naturalis", e non c'è notizia che esistessero altre miniere di coti in Italia, se non quelle bergamasche.

Scarse notizie si hanno di Nembro nei secoli successivi, fin verso il 1200.

Nel XIII secolo Nembro è comune, fa parte della federazione della Valle Seriana Inferiore e ne è capoluogo, dopo una lunga serie di lotte, che hanno segnato il graduale riscatto dal feudalesimo imposto dal Vescovo di Bergamo.

Cambiano protagonisti e finalità, ma le lotte non s'interrompono: ora sono Guelfi e Ghibellini a contendersi la supremazia in paese, con una vicenda davvero curiosa: Nembro si ritrova, ad un certo punto, con due case comunali a non più di pochi metri l'una dall'altra: una per Nembro inferiore (guelfa), l'altra per Nembro superiore (ghibellina), così come a poco più di un centinaio di metri in linea d'aria, rispettivamente sui colli dello Zuccarello e di S. Pietro, stanno i castelli dei capi degli opposti schieramenti, i Vitalba ed i Suardi.

Poi, nel breve volgere di una quarantina d'anni, tra la seconda metà del Trecento e l'inizio del Quattrocento, entrambi i fortilizi saranno sostituiti da due chiese: il Santuario della madonna dello Zuccarello, oggetto ancora oggi di particolare devozione da parte dei Nembresi e la chiesetta di S. Pietro. Interventi miracolosi o puro e semplice ravvedimento del popolo stanco di guerre?

La vita economica è fiorente: accanto all'agricoltura (coltivazione di frumento, vite e castagni ed ampie zone prative per l'allevamento), prospera l'industria delle pietre coti, così come sono ben presenti i commerci, in particolare perché da qui passano, attraverso Salmezza, i collegamenti con il Nord.

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Molte le chiese (una dozzina), che sorgano sul territorio, e alla cui costruzione la popolazione partecipa con lasciti e donazioni, o che diventano sedi di pie associazioni, quali la M.I.A., che segnano la cultura e la vita sociale del periodo e che sono, al tempo stesso, espressione di un certo benessere della popolazione.

Tra queste, alcune delle quali andate distrutte, si segnala che, veramente meritevoli di una visita sono oggi S. Maria, recentemente restaurata e riccamente affrescata, la chiesa di S. Sebastiano, inserita nel connettivo abitativo e in cui domina il bellissimo polittico di Gavasio da Poscante, la chiesa di S. Nicola, di cui si è recentemente provveduto al restauro della facciata e la chiesetta della SS. Trinità a Trevasco per le due magnifiche tele, l'una di Palma il Giovane, l'altra di autore veronesiano-tintorettesco.

Già fin dall'inizio del Cinquecento inizia per Nembro il periodo della sventura. Trent'anni di invasioni, tra cui quella tristissima del Lanzichenecchi portano lutti e decadenza economica. Ma si pongono le basi per la successiva disgregazione del comune per l'accentuarsi dell'autonomia delle contrade nella gestione amministrativa. Ciò porta anche ad un restringimento dei confini comunali con la nascita, a fine secolo, dei comuni di Pradalunga e di Cornale.

Seppure Nembro resti capoquadra, con ampia autonomia per quanto concerne l'amministrazione della giustizia, e tratti direttamente con Venezia per quanto concerne la vita politica, senza l'intermediazione di Bergamo, purtuttavia la Serenissima Repubblica, tutta presa dalle guerre con Milano, non può offrire che esenzioni minime sulle gabelle, che applica al resto del territorio, per mantenere l'esercito in armi.

E' anche il secolo di carestie, pestilenze e degrado sociale, che portano se non all'intensificarsi di delinquenza e corruzione, quale si riscontra nelle città, ad una progressiva disaffezione alla religione, e, quindi, anche ai principi etici del vivere civile, e ad una cattiva gestione dei fondi delle varie confraternite, destinate alle elargizioni ai poveri. Anche il connettivo sociale comincia a sfaldarsi di fronte alle mere necessità della sopravvivenza, né si riprenderà più appieno per le vicende successive, che interesseranno il territorio.

D'altro canto, è anche il secolo di un certo risveglio artistico, che vede acquistare per le proprie chiese alcune opere di buon valore, la migliore delle quali resta il polittico attribuito a G. Giacomo Gavasio di Poscante e che è visibile nella chiesa di San Sebastiano.

Ma il vanto maggiore per Nembro resta quello di aver dato i natali ad Enea Salmeggia detto il Talpino, il "Raffaello Bergamasco", che forse proprio a tale nomea deve, per assurdo, il fatto di non aver ancora trovato, nella storia dell'arte, una sua specifica collocazione. Sul territorio nembrese sono conservate ben 27 opere sue.

Il Seicento non porta la pace sperata e la vita sociale continua a risentirne. L'economia langue ed arriva la peste del 1630, che dimezza la popolazione. Sopravvivono alla calamità 744 persone: solo alcuni anni prima gli abitanti del comune erano circa 2.700.

Scompaiono intere famiglie, e tra queste, parecchie di buon censo e degli industriali dell'epoca.

La reazione alla sventura è lenta e l'economia tarda a riprendersi, anche se la popolazione aumenta in tempi brevi.

A ciò si aggiunge anche il fatto che la via dei traffici verso il Nord comincia a passare per Alzano e poi direttamente per la Valle Brembana dopo la realizzazione dei ponti di Sedrina. Ridotto il potere economico, anche l'importanza politica del paese nella bassa valle Seriana si attenua fino a sparire.

Da allora Nembro seguì le vicissitudini storico-politiche dell'Italia, dando segno di risveglio tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, quando registrò, sul suo territorio, la nascita di consistenti iniziative industriali, incentrate soprattutto sul settore tessile, che andarono ad insediarsi a ridosso dei canali, dai quali potevano trarre l'energia necessaria per il funzionamento degli impianti.

La popolazione passò da 3220 a 4779 abitanti tra il 1881 ed il 1901 a seguito della richiesta di mano d'opera e della nascita di case popolari, ad opera soprattutto dei Crespi, il cui stabilimento arrivò ad occupare fino a 440 persone, tra operai ed operaie, nel 1890.

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